Le vicende delle sedi della Giustizia milanese
La questione di un nuovo Palazzo di Giustizia aveva appassionato gli animi dei milanesi già intorno agli anni 1870-80. Una
puntuale e precisa relazione, infatti, presentata il 30 giugno 1880 al Consiglio Comunale, descriveva in modo chiaro e
indubbio la situazione degli uffici della giustizia, situazione che in quegli anni era andata man mano aggravandosi fino a
divenire pressoché insostenibile. Da secoli la sede della Giustizia milanese era legata al palazzo dei Tribunali - come si
usava chiamarlo un tempo - che sorgeva in piazza Beccaria, nell'edificio nel quale ora si trova il comando della Vigilanza
Urbana, ma che dal 1605 era stata dimora ufficiale del capitano di giustizia.
Quella del capitano di giustizia - un personaggio che anticamente veniva scelto tra i famosi dottori del Collegio dei
giureconsulti - era una vetusta e prestigiosa figura della magistratura milanese, che risaliva al periodo visconteo,
istituita da Gian Galeazzo Visconti nel programma di ristrutturazione delle istituzioni dello stato milanese. Essa aveva
giurisdizione prevalentemente criminale in Milano città e nel territorio fino a dieci miglia fuori e, se si trattava di
causa capitale, era competente in tutto lo stato, ma - secondo le Nuove Costituzioni del 1541, emanate durante la
dominazione spagnola - esercitava anche autorità civile delegata per persone privilegiate e indicate dalle leggi. Aveva,
inoltre, funzione di polizia giudiziaria e di sicurezza e, quindi, ne dipendevano i tre bargelli cittadini con trentasei
fanti e il bargello campestre con venti uomini a cavallo, che dovevano salvaguardare la sicurezza delle vie di
comunicazione dello stato milanese. In epoca comunale il capitano di giustizia ebbe sede "in ducali seu caesarea curia
arenghi Mediolani", cioè nel luogo oggi occupato dal palazzo arcivescovile e, in epoca signorile, nel palazzo ducale
costruito da Matteo e Azzone Visconti. Fu soltanto nella seconda metà del Cinquecento che sorse la necessità di una dimora
autonoma, anche per avere carceri nuove e più decenti di quelle, molto antiche e ormai troppo anguste, della Malastalla.
La proposta per la costruzione di un nuovo edificio partì, appunto, dai Protettori della Malastalla - gli amministratori
dell'opera che aveva l'incarico di proteggere i carcerati - i quali, non potendosi assumere da soli la gravosa spesa,
suggerirono al Comune, come luogo in zona centrale e adatto alla bisogna, un isolato di case da demolire, il posto
pubblico, cioè "ubi meretrices notae morantur".